Scuola: se i giovani all'insegnante chiedono il perché di tanta diffusa violenza - LevanteNews
LA REDAZIONE
Scrivici
PUBBLICITÀ
Richiedi contatto
Meditazioni a margine del ritorno tra i banchi

Scuola: se i giovani all’insegnante chiedono il perché di tanta diffusa violenza

Generico settembre 2024

Da Giacomo Daneri, già Dirigente scolastico dell’IC Rapallo

Ieri un’amica, docente nella scuola secondaria di primo grado (le vecchie scuole medie), mi ha raccontato il suo primo giorno di scuola in una classe terza del suo Istituto. La sua narrazione mi ha
colpito e suscitato alcune riflessioni che credo sia importante condividere. La docente aveva preparato accuratamente la sua lezione, ma gli allievi l’hanno spiazzata chiedendole che cosa ne pensasse di quanto accaduto a Paderno Dugnano e di altri episodi di cronaca anche locale, riguardanti episodi di violenza compiuti da ragazzi minorenni. La professoressa ha invitato i ragazzi a esprimere la loro opinione su quei fatti. Ne è nata una discussione approfondita e coinvolgente.

Sono scaturite riflessioni profonde da parte dei ragazzi, che provo a riportare di seguito: c’è un problema nella famiglia e c’è un problema di comunicazione, perché magari la famiglia è
apparentemente unita, ma poi non parla di cose importanti con i figli; c’è un problema di influenza esterna, dei social e dei media, per cui la violenza diventa virale, mentre a nessuno interessa la
gentilezza o il bel gesto; quando ci si annoia si esplode, non viene da essere creativi e ci si annoia anche per i pochi stimoli che ci sono in città; non bisognerebbe dare troppa importanza e rilevanza
alla violenza, perché è proprio quello che mette in moto questo tipo di azioni.

Qualche spunto di riflessione:

1. C’è una narrazione sulla famiglia che non resiste alla prova dei fatti. Le tensioni che ciascuno dei componenti vive all’esterno non vengono assorbite nel nucleo familiare, che non riesce ad
indirizzare e a dare la giusta dimensione a ciò che accade, a livello micro e macro, nel mondo, rinunciando ad un giudizio fondato su un bene condiviso; certo, si salva l’apparenza, ma anche
la famiglia di Paderno era vista come una famiglia unita, con il ragazzo che aveva buoni risultati scolastici. I ragazzi hanno riferito che spesso in famiglia non si parla: i genitori sono bravi,
danno tutto ai figli, ma spesso non parlano con loro.
2. Per alcune generazioni precedenti la noia, come senso di insoddisfazione rispetto a risposte preconfezionate e poco convincenti e affascinanti sul senso dell’esistenza, era uno stimolo
alla ricerca di risposte nuove e alla costruzione di tentativi alternativi: un po’ come Leopardi che considerava la noia come il più sublime sentimento umano e ciò che alla fin fine ci
contraddistingue dagli animali. Oggi la noia non è più questa spinta interiore, ma maschera solo un enorme senso di vuoto. Dalla noia può nascere la violenza, senza motivazioni apparenti, tanto che spesso gli autori di questi gesti non sanno spiegare il perché li hanno compiuti: questo restituisce bene l’idea del vuoto di significati che i ragazzi avvertono.
3. E per questo non basta “andare bene” a scuola. “Pensare bene non è pensare il bene” ha affermato lo psicopedagogista Stefano Rossi, qualche giorno fa a uno degli incontri del Festival della Comunicazione a Camogli. E ancora: “Oggi assistiamo sempre più spesso ad adolescenti che picchiano, che sono violenti. Perché quando il cuore è pieno di sassi il corpo diventa un’arma. Prendono questi sassi e li scagliano. Altri ragazzi questa sassaiola la scagliano contro di sé, con l’anoressia o l’autolesionismo. Il problema è che manca l’educazione emotiva”. “Per avere il cuore intelligente bisogna insegnare loro a sentire. Il coraggio, l’amicizia, la giustizia, il perdono”.
4. Significa che famiglia e scuola devono “perdere del tempo” e dare spazio a coltivare tutto questo, anche “inventando” storie ed immagini che funzionino come volano positivo nelle menti e nei cuori dei ragazzi. Afferma ancora Rossi: “Avete perso un’ora di lezione ma avete fatto fiorire il deserto nel cuore dei vostri ragazzi. State donando loro delle immagini per orientarsi nel mondo dei sentimenti. Le metafore trasformano i sassi in parole”.
5. “se è violento va virale”: è una riflessione preziosa perché su questo si può lavorare. Come possiamo far diventare virale l’empatia o la cura reale per gli altri?
6. Dei ragazzi tredicenni che si interessano ai fatti della realtà sono già una grande notizia: in una società che non riconosce valore ai giovani (tanto da spingerli a cercare la propria realizzazione fuori dall’Italia), o che, peggio, li incolpa di insipienza e incapacità progettuale, o che si interessa di loro solo quando c’è qualche fatto grave di cronaca che li coinvolge, sapere che ci sono ragazzi che si interessano alle vicende nazionali e locali, fa ben sperare, perché cresceranno con un pensiero critico e con la capacità di farsi domande e cercare risposte e soluzioni.
7. Ma la notizia migliore è che questi stessi ragazzi scelgono come spazio privilegiato la loro classe e la scuola per parlare, anzi, per reclamare di parlare di questi argomenti. Vuol dire che stanno bene in quella classe e in quella scuola, vuol dire che si sentono sicuri e protetti in quella situazione, vuol dire che ci sono dei docenti che li hanno abituati a rendersi conto della realtà attorno a loro e a giudicarla, vuol dire che quegli stessi docenti sanno rinunciare alla loro preziosa lezione preparata e danno spazio alle esigenze di questi ragazzi, di capire, di comprendere meglio, anche soltanto di sfogarsi.

E’ questa la scuola che vogliamo: e come mi ha detto un’altra amica, sempre riferendosi al primo giorno di scuola: “Una magia che si rinnova, nonostante intorno, sopra e di lato, ci sia poca cura.
Compensiamo noi, donne e uomini innamorati della scuola”. Un augurio di un nuovo anno scolastico all’insegna della curiosità, della ricerca della bellezza, della ricostruzione di rapporti a scuola e in famiglia che siano carichi di significato. Per tutti, studentesse e studenti, docenti, genitori, personale tutto.