Chiavari: "San Francesco, dalle ferite alla vita nuova" - LevanteNews
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L'omelia del vescono

Chiavari: “San Francesco, dalle ferite alla vita nuova”

Giampio Devasini, vescovo, diocesi

Da don Luca Sardella, direttore ufficio per le Comunicazioni sociali e portavoce della Diocesi

Si allega l’omelia tenuta questo pomeriggio dal Vescovo diocesano, mons. Giampio Devasini, nel corso della Santa Messa celebrata al Convento dei Frati minori cappuccini di Chiavari in occasione degli ottocento anni dalle Stimmate di San Francesco.

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Cari fratelli e sorelle,
il dono delle stimmate presso La Verna, anzitutto, esprime in modo visibile e definitivo
una tensione che ha costantemente guidato frate Francesco, il desiderio cioè di seguire
Gesù e di configurarsi a lui povero e crocifisso.
I segni della passione nel suo corpo sono l’espressione visibile di questa profonda
aspirazione: frate Francesco resta fondamentalmente un povero, un uomo cioè che vive
di fiducia ed è totalmente abbandonato in Dio, uno che non fa calcoli e non cerca
sicurezze sue, né in ciò che ha, né in ciò che è, né in ciò che sa, ma tutto riceve dal Padre
che è nei cieli e a lui si affida totalmente.
Questo atteggiamento interiore non è senza una lotta e una sofferenza profonde: frate
Francesco arriva a La Verna portandosi dentro tanti dubbi: su di sé, sull’autenticità della
via che va tracciando, sull’Ordine e sulle scelte fatte, sul futuro e sulle sue responsabilità
al riguardo.
Inoltre frate Francesco non si trova già in questa condizione di abbandono, ma la
raggiunge e la accoglie come dono di grazia, cioè giunge ad affidarsi per stare davanti a
Dio e a se stesso da povero. Come Gesù, anche frate Francesco si lascia guidare dalla
ricerca della volontà del Padre che è nei cieli e viene condotto progressivamente al dono
totale di sé, cioè verso l’esperienza della croce: «Padre…non come voglio, ma come vuoi
tu» (Mt 26,39). È questo il senso delle stimmate, cioè il rendersi visibile esternamente di
ciò che è avvenuto nel cuore, così da poter dire idealmente con san Paolo: «Non sono
più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
Questa lotta interiore, nell’esistenza credente, assume spesso la forma della resistenza:
alla debolezza e alla stoltezza della croce talvolta si oppongono una sapienza e una
potenza mondane motivate con la ricerca di chiarezza e di efficienza, secondo criteri di
opportunità. Ma la croce di Gesù non è, secondo criteri umani, né opportuna, né
tantomeno particolarmente efficiente eppure è efficace perché diviene il luogo in cui si
manifestano la forza e la sapienza di Dio.
Volendo allora riflettere e interrogarsi sul nostro essere discepoli di Gesù alla luce
dell’itinerario di frate Francesco povero e crocifisso, ciascuno di noi può chiedersi:
• Che cosa significa vivere da povero nel mio quotidiano? Cerco forza e sicurezza in
ciò che ho, in ciò che so, in ciò che sono? Quali segni di povertà, non solo
simbolici, ma anche concreti, ritrovo nella mia vita e quali invece mancano?
• Il contrario dell’affidamento è quella tensione febbrile che crea agitazione, ansietà,
paure esagerate…Accade anche a me di sperimentare tutto questo? In quali
occasioni?
• Cerco la volontà di Dio per me e per gli altri a cominciare dalle persone che mi
sono più care anche come segno di spoliazione e di rinuncia a me stesso? Dov’è la
croce nella mia vita di ogni giorno?
• Quali resistenze e quali logiche mondane ritrovo più frequentemente: l’ansia per la
buona riuscita dei miei sforzi, la ricerca di approvazione, la disattenzione agli
ultimi…?
Cari fratelli e sorelle, celebrare il centenario delle stimmate è un invito a recuperare nella
nostra vita quotidiana quella dimensione di silenzio orante e contemplativo che ci pone
di fronte all’essenziale. Non solo. Ricordare e celebrare il poverello di Assisi toccato dal
Crocifisso ci sollecita ad uscire da noi stessi per lasciarci toccare e interpellare dalle
numerose situazioni drammatiche di dolore e sofferenza in cui si trovano immersi tanti
dei nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo. Che San Francesco ci aiuti a lasciarci ferire il
cuore dall’amore di Dio e ad abbracciare le ferite dell’umanità diventando così artigiani di
pace, portatori di gioia, pellegrini di speranza. Amen.

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