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Tanti i fattori causa di impoverimento

Vallate: “Pochi pesci nei corsi d’acqua? Io assolvo i cormorani”

Entella, cormorani, Lipu Tigullio, Federica Bisanti, pesca sportiva

Da Pino Lanata

Le sfide dell’entroterra: pesca, trote e cormorani. Da tempo noto una certa assiduità della stampa quotidiana nel parlare del nostro entroterra: parole, parole, parole, e l’abbandono avanza.

Mi permetto, da ormai “vecchio cittadino di nascita” ma “valligiano” per amore della vita di campagna, della caccia e pesca, delle tradizioni rurali, di cogliere lo spunto da un recente articolo pubblicato da Il Secolo XIX relativo alla pesca, alle trote e ai cormorani della Val d’Aveto, per fare alcune considerazioni.

Credo di conoscere perfettamente tutta la storia della pesca dilettantistica con canna nelle nostre vallate. Sono stato per tantissimi anni nel Consiglio Provinciale e Regionale della Federazione Italiana della Pesca Sportiva (FIPS), nel Consorzio Regionale Tutela Pesca, componente della Commissione Provinciale Pesca in Acque Interne, Presidente della Consulta Ittica nr. 5; ho sopportato e supportato tanti Assessori alla Caccia e Pesca della Regione e della Provincia, ma soprattutto sono stato il “tuttofare” della Pescasportiva Fi-Ma di Chiavari (fondata da mia padre Dino nel 1955) fino al 1996.

Oggi si dice: non ci sono più pesci – trote in particolare- nei nostri corsi d’acqua; la colpa è dei cormorani!

Mah, ho molti dubbi che si possa attribuire la colpa a un solo fattore; faccio presente che la pesca nelle acque interne ha cominciato ad avere problemi a partire dagli anni 80 a seguito della cosiddetta “liberalizzazione delle acque” voluta in allora da una errata scelta di alcuni politici che volevano opporsi al potere che aveva la DC nelle valli e in tutto il mondo rurale. Forse non tutti sanno che fino alla 2^ Guerra Mondiale la pesca  nelle “migliori” acque interne del genovese era gestita da privati con il sistema della “concessione di piscicoltura” o degli appalti/aste demaniali. Privati in Val d’Aveto e Val Trebbia (grandi famiglie genovesi Sutter, Cerruti, Balestrero), il Banchiere Ghio nel Torrente Malvaro, Niculin Sambuceti nel basso Entella, Dopolavori fascisti a Cicagna, in Valle Sturla e altre zone.

Nel primo dopoguerra grazie alla lungimiranza di alcuni pescatori, legati anche da amicizia consolidata durante la lotta partigiana, fra i quali mio padre (ho ancora la documentazione con la quale gli era stato rifiutato il permesso di pesca in Valle Sturla perché non iscritto al locale dopolavoro fascista), Ugo Curotto di Borzonasca, Angelo Spinetto di Borgonovo, Roberto Foppiano di Cicagna, Don Gerolamo di Alpicella, Don Valentino di Lorsica, Elio Varni e Giuseppe Cappellini della Val Trebbia, ed altri, è stata fatta una grande operazione di gestione della pesca nelle acque interne grazie al coordinamento della Sezione Provinciale della FIPS nella quale operavano Elio Saettone e Luigi Ferrea, partigiano della Brigata Jori e per tanti anni Sindaco di Cicagna; hanno riscattato tutte le acque in concessione ai privati, vinte le aste demaniali: tutti e dico tutti con una licenza di pesca di lire 3030 e una tessera FIPS con bollino servizio acque federali (SFA) potevano pescare nel nostro entroterra (Aveto, Trebbia, Val Fontanabuona, Valle Sturla e altre valli nel genovesato) dall’ultima domenica di febbraio alla prima di ottobre. Era una vera gestione sociale della pesca dilettantistica. Anche i turisti abbondavano, potevano pescare con uguali diritti e doveri dei “nostrani”.

Vigevano regolamenti semplici ma applicati severamente grazie ad un corpo di vigilanza fisso e ben preparato (denuncia penale anche per la pesca di una sola trota inferiore ai 18cm!).

Tutto bene fino agli anni 75/80 quando con l’avvento delle Regioni a Statuto Ordinario sono state loro delegate dallo Stato le varie funzioni in materia di pesca nelle acque interne.

E così licenze di pesca regionali, permessi locali, egoismi, regolamenti diversi da zona a zona, difficoltà per i turisti, eliminazione della gestione FIPS (non rinnovate le concessioni, abolite le aste), azzerata la vigilanza specializzata, chiusi  gli impianti ittiogenici di Vessalico (IM), Chiusola (SP), Neirone, Rovegno, Rezzoaglio; ridotta la funzione di quelli di Masone, Borzonasca e Borgonovo.

Per diversi anni abbandono strutturale; trionfo del bracconaggio e dei disastri ambientali; imperava solo la burocrazia tipica degli enti pubblici con progressiva eliminazione del volontariato che era alla base della gestione FIPS.

E così i fiumi sono diventati dei “luna park”, usa e getta, con trote “giocattolo”; la politica accontentava con immissioni ragguardevoli di trote adulte pronta pesca e non curava la gestione per il futuro. Nel frattempo c’è stato anche il tentativo di far emergere una nuova filosofia di pesca: “no kill, catch and release” con immissioni anche di pesci di taglia esagerata. Altra americanata tipica dei grandi fiumi dove i pescatori erano pochi e i pesci naturali di taglia grande tantissimi. Applicata nei nostri torrenti, in tratti limitati, con immissioni esagerate, ha creato uno scempio: pesci maneggiati male per slamarli e quindi portatori di infezioni, pesci stressati, spesso affamati, riproduzione naturale pari a zero, bracconaggio, danni alla microfauna fluviale.

Certamente anche la qualità e quantità delle acque sono cambiate: nevicate sempre più rare, troppe sorgenti intubate, prelievi  esagerati (specialmente in Val Fontanabuona), centraline idroelettriche con dighe varie, scarichi fognari portatori di detersivi, pesticidi, insetticidi (un tempo lungo i fiumi c’era solo qualche letamaio e qualche scarico dei mattatoi).

E così alla scomparsa dell’acqua “da neve”, e dell’acqua “da bere”  si è associata la scomparsa anche del gambero di fiume e del temolo: simboli di acque pregiate, ben ossigenate.

Oggi sarebbe necessaria una gestione unitaria globale della pesca nelle acque interne, basata su rigidi criteri scientifici, con vigilanza diffusa e severissima, a tempo pieno. Non bastano le cosiddette “riserve turistiche”, che devono essere un complemento non l’unico strumento per attirare utenti. Occorrono soprattutto tanti capitali privati, ma non ci sono più; qualche cosa gira nelle Aziende Faunistiche Venatorie ritornate in auge, ma la pesca non attrae più, è passata di moda. Qualche appassionato va all’estero (Slovenia, Austria, Croazia) dove da sempre la gestione dei fiumi “da trote” è in mano privata.

Sicuramente cormorani, aironi vari, garzette hanno avuto buon gioco in quanto specie protette non cacciabili, ma soprattutto hanno potuto occupare spazi, per vivere indisturbati; la presenza umana anche lavorativa lungo i torrenti è scomparsa.  Caccia e pesca erano attività di soggetti attivi che operavano sul territorio: prelevavano ma si preoccupavano anche del futuro; oggi nelle vallate si va solo come soggetti passivi, si va a “guardare” e nulla più; spesso però per guardare si deve prenotare e essere accompagnati… addio libertà.

Forse sarebbe possibile programmare una gestione unitaria/coordinata della pesca nelle acque interne, della caccia, e della raccolta funghi, utilizzando strutture (Consorzi attuali), servizi e “vigilantes” in modo  complementare; ma le persone e le capacità ci sono? O no?

Sicuramente resta il “maniman”tipico genovese: vivere alla giornata, versare qualche lacrima, ricordare il passato, dare le colpe agli altri, e nulla più.

All’intelligenza artificiale il futuro anche della pesca?  …ma palanche nu ghe né.

 

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