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Chiavari: Vitaliano Marchetto, la statua a Di Capua e i tentativi di scolpire il conflitto umano

L’artista di oggi è un tigullino d’adozione, da vent’anni vive nel nostro comprensorio, prima in collina a Leivi, da cinque anni a Chiavari. Cinquantasette anni, di origine milanese, lo scultore Vitaliano Marchetto è noto ai media per colui che, nella triste occasione delle prematura scomparsa del sindaco di Chiavari Marco Di Capua, ha scolpito e posto davanti all’ingresso del Palazzo del Comune una statua in onore del Primo Cittadino, appena mancato. Marchetto ha scelto il Levante come sede del suo studio per via del clima migliore di quello delle grandi città italiane dove espone. Ha conosciuto la Liguria e il Tigullio da giovanissimo, avendo frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Genova, quando era direttore il professore Osvaldo Devoto, e iniziato sotto la guida del maestro lavagnese Adriano De Laurentiis nel 1986. Nella prima parte della sua carriera professionale ha vissuto a New York e quindici anni nel Sud dell’India, dove ha studiato da autodidatta scultura antica. È presente su Facebook (https://www.facebook.com/vitaliano.marchetto) e Instagram (@Vitaliano_Marchetto). Definisce la propria scultura “un esperimento spesso fallimentare”, perché raramente ottiene quello che vorrebbe. Le sue opere rappresentano, attraverso materiali antichi, la natura dell’uomo moderno, desideroso soltanto di apparire. Come tutto questo sia connesso alla statua a Marco di Capua ce lo spiega l’autore, nel suo studio in via Castagnola, poco prima di tenere una lezione a scuola: nascosto dietro a un cancello, scopriamo un amplissimo spazio che sembra un loft a pianterreno. Un ambiente arredato con semplicità e essenzialità, dove la parte del leone la fanno le opere, anche nel giardino retrostante. L’ideale per raccogliersi e lavorare senza distrazioni.

Come è diventato scultore? “Per necessità, ad un certo punto della mia vita ho pensato che la scultura fosse una delle tecniche che consentisse di vedere le cose a 360 gradi”.

A che età ha iniziato a interessarsi a questo ramo dell’arte? “Uno nasce con questo desiderio; ho incominciato intorno ai vent’anni”.

Dove ha studiato? “Ho frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Genova, proseguendo la formazione tutta la vita in studio. La mia tecnica è originale, non consente la replica, ogni opera è un pezzo singolo non replicabile attraverso la tecnologia”.

Quali sensazioni le trasmette il gesto dello scolpire? “La scoperta di come sono fatte le cose nella loro natura intrinseca, che poi si manifesta nella visione materica di un’idea”.

Come descriverebbe la sua tecnica scultorea? “Come una continua sperimentazione della rappresentazione di un’idea astratta, trasformata in materia”.

Quali materiali usa? “Uso materiale povero e naturale: cemento, ferro, calce di pozzolo. Tutto quello che non è convenzionale, quindi niente marmo e bronzo”.

Quali soggetti raffigura? “Personaggi che hanno combattuto una guerra interiore, e quando una persona affronta una problematica di questo tipo si autodistrugge, soprattutto nella società. Le opere che vediamo qua rappresentano ciò che è la natura dell’uomo oggi: non gli interessa il mondo, solo apparire ed essere. Sono uomini che si stanno autodistruggendo, sono superstiti; vedremo cosa accadrà all’umanità fra cent’anni. Anziché mettermi in mostra, io faccio l’opposto: cerco di ricercare una mia integrità dell’anima e non un desiderio di apparire”.

Affronta temi specifici? “L’autodistruzione dell’uomo, l’uomo sta diventando un rottame credendo che la propria rappresentazione estetica sia il valore della società di oggi. L’uomo sta perdendo la sua spiritualità e sta cercando di essere solo un involucro”.

Sul suo profilo Instagram ho visto opere che riproducono figure maschili che ricordano nelle forme corpi dell’arte classica. Cosa sono? “Sono guerrieri che fanno una guerra interiore per cercare di capire la propria collocazione nel mondo; quando una persona si rivolge al suo interno deve risolvere conflitti (voglio questo o quello, le scelte), fino ad arrivare ad una pacificazione con se stessi e ad accettare il fatto che l’uomo a volte si getta nell’autodistruzione”.

Ci sono opere che considera più sue, di cui è più orgoglioso?

“Non ci sono opere che sono meglio o peggio, più o meno significative Ogni opera è singola, non è riproducibile, come ho detto, dovrebbe contenere tutto quello che è l’essenza della mia idea. Non faccio differenza tra un’opera e l’altra, la differenza la fa il mercato: più un’opera viene richiesta più dovrebbe essere la migliore, in realtà non è così”.

Dove ha messo in mostra le sue opere? “Non volendo apparire, lavoro con un mio broker, un agente che mette in visione per me le mie opere in determinati posti. Ho un bacino di collezionisti che mi garantiscono la possibilità di poter continuare a fare questo lavoro. Le mie opere sono esposte a Beirut, New York, Los Angeles, Chicago, in California, Parigi, in Italia”.

Lei ha scolpito la statua raffigurante il compianto sindaco di Chiavari Marco di Capua: com’è nata l’opera? “Con Marco avevamo avuto un incontro amichevole qua nel mio studio, in seguito al quale avevamo progettato di fare un percorso scultoreo nella città, che è povera di arte contemporanea; lui era attratto dal mio lavoro. Poi è accaduto quello che sappiamo, io ho desiderato mettere, come ringraziamento alla sua persona, un’opera davanti al Municipio. Era un’opera di dimensioni giganti, che rappresentava un condottiero perché secondo me Marco era un buon condottiero per Chiavari”.

Dove si trova la statua ora? “L’opera è stata da me poi tolta e venduta privatamente ad un collezionista. Ho avuto numerose richieste di lasciare l’opera al comune ma nessuno si è interessato. Lascio il mio affetto per la famiglia di Marco”.

Per chi volesse segnalarsi o segnalare artisti meritevoli di un’intervista scrivere all’indirizzo mail alessandraoneto1986@gmail.com

Foto: autoritratto di Roberto Cifarelli;

foto opere di Alessandro Terigi