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Vaccino e sclerosi multipla: è guidato da UniGe il più grande studio al mondo

Ricerca apripista per le altre malattie autoimmuni di 35 centri nazionali, coordinati dall'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall'ateneo.

Generico settembre 2021

Pubblicato sulla rivista EBioMedicine, edita da The Lancet, uno studio italiano*, il più ampio mai realizzato sulla vaccinazione anti-Covid nei pazienti con sclerosi multipla. I risultati della ricerca multicentrica nazionale, coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova e cofinanziata da AISM con la sua Fondazione, dimostrano che alcuni farmaci per la cura della sclerosi multipla riducono gli anticorpi sviluppati in seguito al vaccino anti-Covid. Questi risultati sono rilevanti per la gestione di pazienti fragili in trattamento con farmaci che frenano l’azione del sistema immunitario.

Vaccino e sclerosi multipla: è italiano il più grande studio al mondo
Alcune cure riducono la capacità di fare anticorpi ma la maggior parte dei farmaci ne permette il normale sviluppo. Ricerca apripista per le altre malattie autoimmuni.

Nei pazienti con sclerosi multipla (SM) sottoposti alla doppia dose di vaccino anti-COVID, alcuni farmaci riducono gli anticorpi specifici. Lo dimostra per la prima volta una ricerca italiana che ha coinvolto 35 centri nazionali per la SM, coordinati dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova, appena pubblicata sulla prestigiosa rivista EBioMedicine. Lo studio è stato cofinanziato da AISM con la sua Fondazione (FISM).

Dopo un mese dalla seconda dose, la maggior parte dei pazienti vaccinati con Moderna o con Pfizer ha una copertura anticorpale elevata contro COVID-19. La percentuale si riduce in chi è trattato con fingolimod (93%), rituximab (64%) e ocrelizumab (44%). In tutti i pazienti, senza distinzione di età, sesso e tipo di terapia, è stato osservato che Moderna determina livelli anticorpali 3.2 volte più alti rispetto a Pfizer. Questo è il primo grande studio che analizza la vaccinazione anti-COVID nell’ambito della SM e i suoi risultati gettano le basi per la gestione dei pazienti neurologici fragili in trattamento con farmaci che inibiscono il sistema immunitario.

“La sclerosi multipla è una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario aggredisce la mielina che riveste i nervi provocandone un progressivo malfunzionamento cui segue nel tempo la comparsa di disabilità – spiega la prof.ssa Maria Pia Sormani, del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova, coordinatrice principale dello studio – “In Italia ne soffrono circa 130.000 persone, con una incidenza di circa 3.600 nuovi casi all’anno e in tre casi su quattro si tratta di donne. Al momento non esistono cure definitive, ma terapie che consentono di rallentare il decorso della malattia e quindi la comparsa di disabilità, motorie e non solo, soprattutto modulando l’attività delle cellule del sistema immunitario”.

I pazienti con sclerosi multipla sono stati inseriti nella categoria dei ‘pazienti fragili’ con vaccinazione anti-COVID prioritaria; tuttavia finora, a eccezione di risultati preliminari arrivati da Israele, primo paese al mondo ad aver avviato la campagna vaccinale, non era noto l’effetto dei vaccini sui pazienti con SM. La ricerca italiana ha coinvolto 780 pazienti con SM, suddivisi in 12 gruppi in base al tipo di terapia ricevuta, che si sono sottoposti volontariamente alla vaccinazione anti-COVID, 594 con Pfizer e 186 con Moderna.

“Il dosaggio degli anticorpi anti-COVID è avvenuto dopo 4 settimane dalla seconda dose del vaccino, quando cioè si dovrebbe avere la più alta produzione di anticorpi – precisa Sormani – I risultati dimostrano che fingolimod, rituximab e ocrelizumab, inibiscono la produzione di anticorpi in seguito alla vaccinazione contro il COVID-19. Nei pazienti trattati con tutti gli altri farmaci i livelli sono normali. Inoltre, i pazienti vaccinati con Moderna hanno livelli di anticorpi di oltre 3 volte maggiori rispetto a quelli ottenuti con il vaccino Pfizer”.

“Lo studio prosegue con il completamento della raccolta dei campioni sui 2.000 pazienti arruolati e la valutazione del follow up clinico – aggiunge Sormani – Il nostro obiettivo infatti è prima di tutto verificare che le persone con SM non sviluppino il COVID in forma severa, in particolare quelli che hanno prodotto bassi livelli anticorpali”.

“Non sappiamo ancora – prosegue Antonio Uccelli, neuroimmunologo e Direttore Scientifico del San Martino – se la riduzione di anticorpi contro il COVID si traduca in una minore efficacia del vaccino. A questo proposito è fondamentale monitorare clinicamente i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie, per esempio i linfociti T, che potrebbe garantire comunque una protezione sufficiente”.